Minchia, signor presidente 7 by Pianeta Messina in Senza categoria — 9 Apr, 2015 Messina, giugno 2012. Arriva la fumata bianca: Raffaele Manfredi cede ufficialmente il Messina a Pietro Lo Monaco. L'”azionariato popolare” made in Messina ha funzionato, il calcio in riva allo Stretto, dopo anni di pagliacciate, di presidenti improbabili, di umiliazioni indicibili per chi fino a pochi anni prima la domenica andava in onda su Sky, è salvo. O almeno così sembrava. Pietro Lo Monaco, che ha insegnato e plasmato il calcio alla sua maniera in realtà come Udine e Catania, liberatosi adesso dell’impegno di ad per la società etnea, arriva a Messina con un progetto ambizioso: “Riporterò il Messina nel calcio che conta”. Detto fatto. Due promozioni di fila dalla D alla Lega Pro unica (l’ex serie C1, riformata nel 2014/2015) ed un entusiasmo che in città si manifesta con i 10.000 del match tra Messina e Cosenza e gli 8.000 di quello tra Messina e Nissa, che segnano il definitivo ritorno al professionismo della squadra (il salto dalla D alla Lega Pro). Il calcio sembra davvero esser tornato a battere bandiera giallorossa in riva allo Stretto. Poi qualcosa si rompe. Ed il giochetto ruota sempre attorno alla “questione stadio”. La stessa per cui Franza decise di non iscrivere l’Fc Messina al campionato di serie B nella stagione 2008/2009, condannando di fatto la squadra al fallimento. Sì, la concessione pluriennale – a 99 anni – degli impianti sportivi. Ve la ricordate? Quando la scorsa estate Pietro Lo Monaco capisce che non sarebbe stato facile avere la concessione degli impianti sportivi cittadini e Raffaele Manfredi – che nel frattempo è stato più volte “rimproverato” da Lo Monaco per le carte non troppo in regola nel corso della sua gestione – insieme ad una società catanese (Musica da Bere), ottiene la concessione per un mese del San Filippo per i concerti estivi di Jovanotti e Vasco Rossi, il Messina calcio comincia a vedere il baratro. Ed il terzultimo posto in classifica del torneo che volge al termine, non è altro che una diretta conseguenza di tutto ciò. Parte della tifoseria aizzata contro il sindaco, che si becca anche gli insulti nel corso della presentazione della squadra al Monte di Pietà. Un calciomercato estivo fallimentare nonostante i 1700 abbonati. Un calciomercato di riparazione che, probabilmente, è stato anche peggio. L’allenatore Grassadonia che viene esonerato (solo) a marzo, dopo un’annata disastrosa. I 10.000 della D che si tramutano nei 3.000 della Lega Pro. Un direttore sportivo che va e che viene (l’avvicendarsi Ferrigno-Pagni-Ferrigno). Una squadra costruita male che, forse, peggio non si poteva. Una strategia marketing – se esiste – impostata sul nulla cosmico e che di certo non ha spinto i giovani tifosi a perseguire il “culto Messina”. Una strategia comunicativa che, forse, sarebbe stata condotta meglio dai giovani studenti del corso di Giornalismo dell’Università di Messina. Come non ricordare, poi, alcuni consiglieri comunali di opposizione, “mascherati” da capi ultras, aizzare la tifoseria contro l’Amministrazione Accorinti solo per tornaconto personale e postare anche i video su Facebook degli insulti fuori dalla stanza del sindaco, salvo poi essere smentiti dallo stesso Lo Monaco con la frase: “Accorinti sta facendo tutto il possibile per la squadra”. Ma, soprattutto, un ritornello conosciuto ormai da nord a sud, da Sportitalia in giù: “Messina non è una città in cui si può fare calcio”. Ed il patron, diventato poi presidente dell’Acr al posto di Isidoro Torrisi, probabilmente non si rende conto della violenza comunicativa di queste sue parole, lui che ha sempre “parlato” meglio con i fatti che con i giornalisti. Una voglia di lasciare questa città manifestata a più riprese, anche con la speranza di ottenere concessioni pluriennali (sugli stadi) insperate. Ma niente. Dichiarazioni troppo spesso rilasciate in periodi cruciali della stagione, dichiarazioni che di certo non hanno fatto bene all’ambiente Messina (squadra e tifosi). E allora, presidente, se proprio deve lasciare Messina il prossimo 30 giugno – come dichiarato pochi giorni fa – e visto che il Catania le è rimasto nel cuore, faccia pure. Ma la smetta, per favore, di mettere a confronto le due tifoserie. La nostra città, Messina, come sempre, proverà a rialzarsi con grande dignità. La dignità dei messinesi. Quella che non si può calpestare. Quella che non retrocede. Quella che non fallisce se va via una società. Minchia, signor presidente. Hermes Carbone Share